La carta è elegante e multiforme, suona bene, è un materiale fragile e mai invadente, si piega, si accartoccia e si riapre, crea texture e può essere riciclata.
Ho cominciato a fare collage perché è come tentare di rimettere insieme i cocci delle esistenze e ricercare la propria identità: un collage è quello spazio di puro caos che si trova a metà tra il frenetico e il doloroso. Forse anche per questo ho usato le parole della lettera d’addio di Virginia Woolf al marito Leonard in varie composizioni.
Amo i collages non sono mai definiti, possono cambiare, puoi usare di tutto per farli, anche la spazzatura. Sono flessibili perché possono essere modificati anche dopo anni, e generalmente divenire sempre più belli, la composizione è liberata da tantissime catene e le mani vanno dove vogliono provando cose senza meta.
Gesso, carta, tessuto, colla, colori acrilici e inchiostri vanno a creare , strato dopo strato le composizioni, spesso unite da sottilissimi fili da imbastire o semplici tocchi di scotch di carta in un equilibrio fragile e delicato, figlio delle incertezze vulnerabili ed impermanenti, da sempre celebrate nell’estetica giapponese.